Obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni, fino a quando?
Care lettrici e cari lettori, questa settimana voglio parlare con voi di un argomento davvero interessante, in merito al quale anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione è più volte intervenuta.
Come sappiamo, ciascun genitore è obbligato a mantenere, istruire ed educare i figli in proporzione alle proprie sostanze.
Se l’obbligo di mantenimento del genitore nei confronti dei figli minori può sembrare indiscusso, quello che, invece, viene spesso messo in discussione, è la “scadenza” dell’obbligo di mantenimento nei confronti dei figli maggiorenni.
Molte persone pensano che il raggiungimento della maggiore età da parte dei figli operi come una sorta di “tana libera tutti” che fa venire meno il dovere dei genitori di provvedere anche ai figli i quali, secondo questa ricostruzione, proprio in ragione della raggiunta maggiore età, devono provvedere da soli a sé stessi.
Ma è davvero così?
Sul punto la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è dimostrata a dir poco ondivaga.
Nell’ottica di tutelare i più giovani nella delicata fase di transizione verso l’età adulta, in un primo momento, era stato sancito che l’obbligo di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli permanesse fino al raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte degli stessi.
Con il passare del tempo, tuttavia, questa posizione garantista ha lasciato spazio ad interpretazioni ben più rigide secondo le quali l’obbligo di mantenimento cessa in relazione alla raggiunta capacità di mantenersi, che deve essere presunta oltre i trenta anni (Cass. Civ. 17183/2020).
La Corte di Cassazione, in particolare, ha sottolineato come, nel valutare la permanenza o meno dell’obbligo dei genitori di mantenere i figli maggiori d’età, l’Autorità deve necessariamente considerare una serie di circostanze quali la durata effettiva del percorso di studi intrapreso nonché la compatibilità dello stesso con le possibilità economiche dei genitori, le occupazioni del soggetto interessato e il tempo mediamente necessario a trovare un lavoro retribuito al termine degli studi – elementi che devono essere valutati dal Giudice con rigore proporzionale all’età dei figli di cui si discute – arrivando ad escludere il diritto dei figli a percepire il mantenimento nel caso in cui gli stessi abbiano intrapreso un’attività lavorativa che permette loro di mantenersi autonomamente, abbia raggiunto un’età che fa presumere il raggiungimento della capacità di provvedere a se stesso o, ancora, abbia contratto matrimonio o intrapreso una convivenza, interrompendo così il rapporto di dipendenza morale e materiale con la famiglia di origine.
Sul punto la Suprema Corte è intervenuta nuovamente con una recentissima pronuncia con la quale ha evidenziato che, sulla base del dovere di autoresponsabilità gravante sui figli, questi ultimi non possono pretendere che i genitori continuino a mantenerli oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura e ciò in quanto “l’obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione” (Cass. Civ. 12121 del 08.05.2025).
Pertanto, continua la Cassazione, l’obbligo di mantenimento da parte dei genitori “viene meno solo nel momento in cui il figlio si inserisce (o avrebbe dovuto farlo secondo i paramenti di una diligente condotta) in modo indipendente ed autonomo nella società e comunque non può protrarsi oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe in forme di parassitismo, in spregio al dovere di solidarietà di cui è richiesto l’adempimento a tutti i consociati a maggior ragione all’interno della formazione sociale famiglia” (Cass. Civ., 12121 del 08.05.2025).
COSA NE PENSO IO?
Per troppo tempo il principio di protezione genitoriale è stato interpretato in modo quasi incondizionato, spesso fino a trasformarsi in una trappola tanto per i genitori quanto per i figli, i primi, gravati da un senso del dovere senza scadenza; i secondi, inconsapevolmente (o colpevolmente) frenati nella costruzione della propria identità adulta.
Il ritorno all’autoresponsabilità non è un gesto punitivo, ma un invito alla crescita e all’accettazione dell’età adulta, con tutto quello che ne deriva.