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Paziente esce e va ad annegarsi: quattro responsabili a processo.

La donna, Edda Donà, 60 anni, di Rosolina, si sarebbe allontana da Villa Tamerici il 12 giugno del 2008, per trovare la morte in un canale della zona

Prima udienza, nella giornata di martedì 19 aprile, del processo che vede quattro persone, a vario titolo individuati come responsabili, vertici e funzionari della Casa di riposo Villa Tamerici di Porto Viro. Vengono chiamati in causa per la morte di una paziente che si verificò, secondo la ricostruzione dell'accusa, il 12 giugno del 2008, quando Edda Donà, 60 anni, di Rosolina, ospite della struttura, uscì dalla propria stanza per poi suicidarsi in un canale.
Porto Viro (Ro) - La donna lasciò le proprie ciabatte sull'argine del canale, a Porto Viro, poi si lanciò nelle sue acque, dove trovò la morte. Questa la ricostruzione messa a punto dai carabinieri della stazione locale per i fatti del 12 giugno del 2008, quando perse la vita Edda Donà, 60 anni, ospite della casa di riposo Villa Tamerici di Porto Viro.

Non era - secondo l'esposto presentato dai familiari, seguiti dall'avvocato Fulvia Fois - la prima volta che si verificava un tentativo di allontanamento del genere. In precedenza la donna avrebbe tentato di nascondersi addirittura in un cassonetto, per sviare la sorveglianza, mentre in un'altra occasione sarebbe stata recuperata dai carabinieri mentre vagava sulla Romea.

Per la sua morte, in un altro filone processuale, si trovavano a giudizio due operatori della struttura, sempre per omicidio colposo e sempre con i familiari che domandavano all'autorità giudiziaria di verificare se fosse stato fatto tutto il possibile per vigilare nei modi previsti dalla legge sull'incolumità dell'anziana, paziente come detto secondo questa tesi abbastanza problematica.

Il 30 giugno 2015 era poi arrivato il rinvio a giudizio dei quattro responsabili della struttura. I fatti secondo questa ricostruzione risalgono al periodo tra il 12 e il 13 giugno 2008. All'alba del 12 giugno, dalla struttura assistenziale si allontanò Edda Donà, 60 anni, il cui corpo venne ritrovato senza vita in un canale poco prima delle 22 del giorno dopo.

Il capo di imputazione parla di un suicidio per annegamento e afferma che la donna, affetta da depressione e disturbo della personalità, aveva già in passato manifestato l'intenzione di togliersi la vita, così come aveva già posto in essere tentativi di fuga. Ai quattro responsabili viene in sostanza contestata la mancanza di un adeguato sistema di sorveglianza all'interno della struttura, anche in relazione alle caratteristiche e alle problematiche dell'ospite. Per esempio, argomenta l'accusa, sarebbe stato possibile incaricare personale di presidiare le vie di fuga, oppure dotarsi di adeguati strumenti di videosorveglianza.

Il cammino dell'indagine è stato particolarmente difficile, con una prima richiesta di archiviazione formulata dalla Procura, alla quale si era opposto l'avvocato della famiglia di Edda Donà, Fulvia Fois di Rosolina, intenzionata a costituirsi parte civile nel processo. È poi stata necessaria una complessa perizia disposta dal giudice per le indagini preliminari, prima di arrivare alla discussione del 19 aprile. Va comunque precisato che l'incombere della prescrizione è un problema reale. Da parte della difesa, affidata all'avvocato Michela Zucchelli di Bologna, c'è comunque la fiducia di arrivare a una sentenza di assoluzione, ricontestualizzando la ricostruzione dei fatti messa in atto dell'accusa.

La prima udienza, di fronte al giudice Silvia Varotto martedì 19 aprile, è stata dedicata sostanzialmente alle formalità, col processo poi aggiornato al prossimo 30 maggio, quando dovrebbe entrare nel vivo.

19 aprile 2016


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