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Morì carbonizzato, cinque condanne

Il resto del carlino

Rovigo, 16 luglio 2013 - CINQUE condannati per la morte di Massimo Massarenti, operaio rimasto intrappolato dalle fiamme mentre lavorava alla costruzione di un traghetto, all’interno dei cantieri Visentini Porto Viro il 4 aprile del 2006. Aveva 38 anni. La sentenza è arrivata ieri e porta la firma del giudice Silvia Varotto del tribunale di Rovigo. Il reato è quello di omicidio colposo.

La pena più pesante è stata per Sergio Perazzolo, legale rappresentante della ditta Emmepi: un anno e sei mesi. Nove mesi invece per Lino Ponzetto e Vittorio Ferro, legali rappresentanti della ditta Cmi. Stessa pena per Attilio e Francesco Visentini, legali rappresentanti dei cantieri navali. Per tutti la pena è stata sospesa e il giudice ha deciso per la non menzione, ovvero questa condanna non verrà trascritta sul casellario giudiziario di nessuno di loro. Gli avvocati difensori hanno già fatto sapere che faranno ricorso in appello.

Le motivazioni della sentenza verranno depositate dal giudice entro 90 giorni. Quello sfortunato aprile del 2006 gli operai della Emmepi stavano completando i lavori di costruzione di un traghetto per la Caronte & Tourist spa, società che svolge il traghettamento privato nello Stretto di Messina. Questa ditta aveva preso l’appalto da un’altra della zona, la Cmi che a sua volta lo aveva avuto dei lavori dai cantieri Visentini. Difficoltosa è stata la ricostruzione della dinamica dell’incidente. Inizialmente i colleghi di Massarenti hanno imputato la causa ad elle vernici fresche, le cui esalazioni assommate all’ambiente saturo avrebbero innescato una scintilla che probabilmente ha intaccato l’impianto elettrico. Quasi due anni dopo, in marzo del 2008, il giudice per le udienze preliminari Alessandra Testoni ha disposto la riesumazione della salma di Massarenti. Il giudice si era avvalso della consulenza del Ris di Parma.

L’obiettivo del medico legale sarebbe dovuto essere quello di capire, soprattutto analizzando i capelli della salma, se all’interno della stiva ci fosse dell’ossigeno comburente che si sarebbe incendiato con l’innesco derivato dalla presenza di scintille causate da una mola smerigliatrice. La riesumazione della salma poi non ci fu, come ha precisato ieri il procuratore che dall’inizio ha seguito il processo, Sabrina Duò che ieri ha chiesto due anni per tutti e cinque gli imputati. La causa comunque è stata attribuita ad una scintilla che durante il lavoro è partita ed ha innescato le fiamme. Tre compagni di lavoro di Massarenti sono riusciti a fuggire appena in tempo. Lui invece non ce l’ha fatta e lo spazio stretto dove era costretto a lavorare si è trasformato in una trappola mortale. Cinque mesi prima della sua morte, Massarenti aveva trovati i corpi senza vita dei genitori della moglie, i coniugi Di Iorio protagonisti di un caso di omicidio suicidio che aveva profondamente scosso la comunità di Porto Viro.La moglie di Massarenti e la figlia sono state risarcite economicamente per oltre 500mila euro. Erano assistite dall’avvocato Fulvia Fois che ieri ha commentato così le cinque condanne: «È un risultato che arriva molto tardi e non va a compensare la grave perdita subita, soprattutto per la figlia, viste le strazianti condizioni in cui è avvenuta la morte del padre». Unanime il commento degli avvocati difensori Palmiro Tosini (Ponzetto e Ferro), Marco Petternella (Perazzolo) e Luigi Migliorini (Visentini): «Una pena mite, visto il capo di imputazione».
 

Tommaso Moretto



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