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Mantenimento e alimenti

I vincoli di solidarietà che devono intercorrere tra i membri di una stessa famiglia non trovano il loro fondamento solo in obblighi di carattere morale, ma anche in numerose norme di legge che stabiliscono, tra l'altro, il diritto agli alimenti e il diritto al mantenimento in presenza di determinati presupposti.

Gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in istato di bisogno (art. 438 c.c. – link) e sono posti a carico del soggetto che si trova nel grado più vicino di parentela, coniugio o affinità rispetto al richiedente, in base all’ordine tassativo stabilito dall’art. 433 c.c. (link); essihanno ad oggetto il necessario per vivere, inteso come ciò che permette il soddisfacimento delle esigenze primarie dell'alimentando. Per stato di bisogno, tuttavia, si intende non solo la mancanza del necessario per alimentarsi, ma anche per vestirsi, per l'abitazione, ossia la mancanza o insufficienza dei mezzi necessari per soddisfare le esigenze primarie della vita, tenuto conto della posizione sociale dell’alimentando.

Il diritto al mantenimento deriva anch’esso da vincoli di parentela o coniugio, ma il suo contenuto è molto più ampio del diritto agli alimenti: esso comprende non solo la soddisfazione dei bisogni primari, ma anche tutto ciò che è necessario per svolgere un'adeguata vita di relazione, secondo l'ambiente sociale in cui vive la famiglia, ovviamente in relazione alle capacità economiche degli obbligati e alle loro capacità.

Hanno diritto al mantenimento i figli nei confronti dei genitori (art. 315 bis c.c. – link), fino al raggiungimento della loro completa indipendenza economica, e unconiuge nei confronti dell’altro (art. 156 c.c. e art. 5 l. n. 898/70 – link) quando, in caso di separazione e/o divorzio, dimostri di non avere mezzi adeguati e sufficienti a garantirgli di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (e sempre che non possa procurarseli per ragioni oggettive e la separazione non gli sia stata addebitata). Al di fuori di queste due ipotesi, l’ordinamento non prevede altri casi in cui si possa vantare un diritto al mantenimento.

Il titolo giudiziale che prevede l’obbligo di corrispondere al coniuge e/o ai figli un contributo al mantenimento è normalmente costituito dalla sentenza di separazione o divorzio, ma può trattarsi anche dell’ordinanza presidenziale resa all’inizio dei due procedimenti, di un decreto emesso dal Tribunale per i Minorenni ovvero di un decreto del Tribunale ordinario: in ogni caso, il provvedimento giudiziale è dotato diefficacia esecutiva, il che significa che ne può essere imposto l’adempimento anche contro la volontà dell’obbligato, attraverso l’esecuzione forzata su tutto il suo patrimonio (vedi infra la sezione Azioni Esecutive).

Va, comunque, sottolineato che tutti i menzionati provvedimenti sono modificabili e revocabili in ogni tempo, in quanto sono emessi in base allo stato di fatto verificato al momento del giudizio, stato di fatto che può subire modificazioni anche importanti nel corso degli anni. La modifica o la revoca dei provvedimenti in materia di mantenimento si ottiene all’esito di un ulteriore procedimento giudiziale, promosso dal soggetto che ha interesse a richiederle: stiamo parlando del procedimento di modifica delle condizioni di separazione (art. 710 c.p.c. – link), del procedimento di modifica delle condizioni di divorzio (art. 9, comma I, l. n. 898/70 – link) e del giudizio di modifica previsto dall’art. 316 bis c.c. (link).



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