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Mantenimento per il figlio minore usato per altri scopi. È reato?

Care lettrici e cari lettori, questa settimana voglio parlare con voi di un argomento davvero interessante relativo all’assegno di mantenimento in favore dei figli.

Quando una coppia di genitori si separa, tendenzialmente viene previsto, in capo al genitore non collocatario prevalente dei figli minori, l’obbligo di corrispondere una somma mensile a titolo di contributo al mantenimento dei minori stessi.

L’ammontare di questo contributo viene determinato tenuto conto delle esigenze dei figli, dei tempi di permanenza degli stessi presso ciascun genitore, nonché delle risorse economiche di questi ultimi.

Può però accadere che, lungi dall’utilizzare il contributo al mantenimento per far fronte ad esigenze della prole, il genitore che percepisce la somma la utilizzi arbitrariamente per finalità personali quali shopping, cura della persona o attività ricreative.

Ma l’utilizzo dell’assegno di mantenimento in favore dei figli per il soddisfacimento di esigenze o capricci personali del genitore, comporta qualche tipo di responsabilità? In particolare, tale condotta può costituire reato?

Sul punto è recentissimamente intervenuta anche la Corte di Cassazione.

Il caso è quello di un uomo che, mensilmente, versa alla moglie una certa somma a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore.

Tali importi, però, non vengono utilizzati dalla donna per sostenere spese relative al figlio ma sono dalla stessa impiegati per pagare le rate del mutuo di un immobile di sua proprietà e per investimenti in titoli ad alto rischio.

Il padre non ci sta e denuncia la donna per il reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p. e per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, con particolare riferimento all’ipotesi di malversazione di beni del figlio previsto dall’art. 570 comma 2 n. 1) c.p..

In primo grado, la donna viene assolta ma la sentenza viene appellata.

Anche in secondo grado, tuttavia, la sentenza viene confermata e così all’uomo non resta che rivolgersi alla Corte di Cassazione che, tuttavia, rigetta il ricorso.

In particolare, per quanto riguarda il reato di malversazione, la Corte di Cassazione evidenzia che il reato in esame si configura nel momento in cui un soggetto utilizza beni di cui non è titolare, ad esempio utilizzando il bene per scopi diversi da quelli per cui è stato conferito, e da tale utilizzo deriva una lesione degli interessi dell’effettivo titolare degli stessi.

Ebbene, i Giudici specificano che l’assegno di mantenimento corrisposto da un genitore in favore dei figli minori non appartiene al figlio minore, dovendosi invece identificare in una somma di cui il genitore affidatario può disporre liberamente, pur dovendo avere cura di assicurare le esigenze primarie del minore e di garantirgli idonee condizioni di vita.

Ne deriva, secondo il parere della Suprema Corte, che la disposizione da parte del genitore affidatario dell’assegno di mantenimento per i figli minori non integra il reato di malversazione e ciò in quanto il reato presuppone che la condotta abbia ad oggetto beni di cui il minore è titolare, elemento non ravvisabile nel caso di specie.

COSA NE PENSO IO?

Comprendo che questa pronuncia –pur giuridicamente ineccepibile – possa lasciare l’amaro in bocca.

Perché, se è vero che l’assegno non è tecnicamente di proprietà del minore, è altrettanto vero che – seppur non in tutti i casi – ogni euro di quel contributo è stato versato dal genitore obbligato per assicurarsi che il proprio figlio abbia le cure e l’amore che merita.

L’assegno di mantenimento, per qualcuno, è una carezza indiretta, un modo per dire “ci sono, anche da lontano”.

Ma quando quel denaro viene usato per altro allora qualcosa si rompe. Non nella legge, forse, ma nel legame invisibile tra responsabilità e amore.

                                                                                                                                                                                                                 Avv. Fulvia Fois



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