Quale è il confine tra corteggiamento e reato?
Care lettrici e cari lettori, questa settimana voglio parlare con voi di un argomento davvero particolare ma molto attuale.
Vi è mai capitato di ricevere da qualcuno attenzioni che vi sembravano eccessive?
Avete mai ricevuto reiterate chiamate o messaggi da parte di un corteggiatore o una corteggiatrice che vi hanno infastidito?
O, ancora, vi siete mai trovati ad incontrare in più occasioni una persona al punto da farvi sentire a disagio?
In queste situazioni, vi siete mai chiesti se si trattava solo di corteggiamento o se, invece, eravate vittime di reato?
Purtroppo, in mancanza di una corretta informazione, dare risposta a questa domanda può essere complicato e ciò rende difficile anche riconoscere eventuali condotte delittuose che, dunque, vengono “normalizzate” e rimangono impunite.
Ebbene, bisogna in primo luogo chiarire che la linea che separa l’interesse romantico dalla violazione della libertà altrui è sottile ma esiste, ed è tracciata dal Codice Penale e dalla giurisprudenza.
Mostrare interesse ed esternare i propri sentimenti e le proprie attenzioni nei confronti di qualcuno fa parte della libertà individuale di ogni soggetto e non costituisce un illecito, purché le manifestazioni che ne derivano avvengano sempre nel rispetto della libertà e della volontà altrui.
Il problema, infatti, nasce quando il “no”, il rifiuto o il disagio che si sta creando nell’altra persona non vengono ascoltati e quelle che dovevano essere semplici attenzioni si trasformano in vere e proprie fattispecie di reato.
Sul punto, anche la Corte di Cassazione è intervenuta affermando che il corteggiamento insistente e petulante che provochi disagio nella vittima può integrare il reato di molestia.
Non solo.
Qualora le condotte siano tali da determinare nella vittima un grave e perdurante stato di ansia o paura, da costringerla a cambiare le proprie abitudini di vita o da farle temere per la propria incolumità, allora potrebbe integrarsi anche il più grave reato di atti persecutori.
Ma quali sono gli elementi da poter valutare per comprendere se si può o meno parlare di reato?
In primo luogo, è bene esplicitare il proprio disagio e il proprio malessere al soggetto agente, magari mettendolo “nero su bianco” in un messaggio di testo o in una e-mail: se questa rimostranza viene ignorata, il soggetto agente può essere ritenuto responsabile.
Altro accorgimento importante è quello di monitorare la frequenza e l’insistenza delle azioni, tenendo traccia del loro ripetersi nel tempo e annotando ad esempio cosa si è verificato nonché quando e dove: la reiterazione di condotte moleste è infatti uno degli elementi costitutivi del reato di atti persecutori.
Ultimo, ma non certo meno importante elemento da considerare è il proprio stato d’animo: il disagio, il timore, la paura e l’angoscia sono chiari sintomi che qualcosa non va e che bisogna agire per migliorare la propria condizione e per evitare epiloghi peggiori.
COSA NE PENSO IO?
In una società improntata sui diritti individuali, educazione sentimentale e rispetto dei confini personali devono andare di pari passo.
Il confine tra sentirsi desiderati e sentirsi in pericolo è sottile e se la persona interessata manifesta il proprio disagio, è chiaro che quel confine è stato oltrepassato.
Avv. Fulvia Fois