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Quando un commento sui social può costare il licenziamento

Quando un commento sui social può costare il licenziamento

L'avvocato Fulvia Fois del Foro di Rovigo sul linguaggio offensivo che può ledere la "brand reputation" ovvero l'immagine online dell'azienda per cui si lavora

 

Care lettrici e cari lettori, questa settimana voglio parlarvi di un argomento molto interessante, in merito al quale anche la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi.

Pensiamo ad una persona che finalmente fa ritorno a casa dopo un’intensa giornata di lavoro, si mette comoda e decide di rilassarsi un po’ “scrollando” le homepage dei principali social network. Tra i vari post pubblicati, uno cattura la sua attenzione al punto tale da suscitare nella stessa la necessità di lasciare un commento.

Le risposte non tardano ad arrivare e con esse anche le critiche.

Ecco, allora, che questa persona decide di farsi più aggressiva e, utilizzando un linguaggio offensivo e poco consono ad una normale discussione civile, commenta nuovamente il post, rispondendo per le rime agli altri utenti.

Fin qui parrebbe non esserci nulla di strano, in fondo cosa mai potrebbe succedere?

Chi mai potrebbe rimproverare l’utente per l’utilizzo di un linguaggio inappropriato sui social? Non se ne accorgerà nessuno, direbbero alcuni.

E invece no, qualcosa potrebbe succedere e quella persona potrebbe, ad esempio, essere licenziata proprio a causa di quel commento.

È questo il caso posto all’attenzione della Suprema Corte, che ha confermato la legittimità del licenziamento di un dipendente colpevole di aver utilizzato un linguaggio offensivo e volgare nel commentare un post relativo ad una tematica di particolare delicatezza quale il diritto all’aborto.

Per alcuni potrebbe essere inconcepibile che le azioni compiute da un dipendente nell’ambito della propria vita privata si ripercuotano sulla sua posizione lavorativa.

Ebbene, così non è, almeno secondo la Corte di Cassazione, soprattutto se ci si pone nell’ottica della salvaguardia della reputazione o immagine aziendale, la cd. “brand reputation”.

Quando parliamo di brand reputation facciamo riferimento ad un bene immateriale dell’azienda consistente nella percezione, da parte dei consumatori, dei valori, degli ideali e delle politiche di un’azienda.

Questo bene giuridico – assolutamente essenziale per l’impresa – potrebbe essere facilmente leso da comportamenti inappropriati da parte dei dipendenti, ragion per cui l’azienda ha il potere di adottare strumenti di tutela che trascendono il luogo di lavoro come, ad esempio la social media policy, termine con cui si sta ad indicare un regolamento volto a disciplinare le regole di condotta (come ad esempio l’obbligo di utilizzare un linguaggio mite) che i dipendenti dell’azienda devono seguire quando navigano sui social, sia durante l’orario di lavoro che nell’ambito della propria vita privata.

Non solo.

La Cassazione ha sancito che, in caso di lesione dell’immagine aziendale, il datore di lavoro ha il potere di intervenire anche in merito ad attività extra-lavorative e ciò quando la condotta stessa danneggi gravemente l’immagine aziendale, elemento che legittima l’adozione di misure adeguate all’entità del danno subito dall’impresa, come per l’appunto il licenziamento del dipendente.

COSA NE PENSO IO?

Credo che, anche se ogni caso deve essere adeguatamente valutato, si debba comunque sempre operare un bilanciamento tra quella che può essere da un lato la tutela della brand reputation e dall’altro la libertà di azione e di espressione del pensiero del dipendente che agisce al di fuori dell’orario di lavoro e ciò attraverso una valutazione concreta della potenzialità lesiva delle azioni e delle parole utilizzate, onde evitare un ingiusto annientamento della libertà individuale del soggetto che, prima di essere un dipendente è una persona.

Questa è una rubrica di informazione e divulgazione giuridica che ha il solo scopo di voler contribuire a livello sociale alla conoscenza dei propri diritti in quanto è mia convinzione che solo così è possibile tutelarli efficacemente dal punto di vista legale.

Se avete delle domande o volete propormi un argomento di cui parlare, potete farlo scrivendomi all’indirizzo e-mail dirittoetutela3.0@gmail.com o compilando il form che trovate sul sito www.studiolegalefois.com.

                                                                                                                                                                                                                                                                                    Avv. Fulvia Fois

 



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