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Tempesta di messaggi sui social, può essere considerata molestia?

L'avvocato del Foro di Rovigo Fulvia Fois affronta il caso di continue notifiche di richiesta di contatto o messaggi via Facebook, Instagram o altre piattaforme. Si può denunciare?

questa settimana voglio parlarvi di un’interessante recentissima pronuncia della Corte di Cassazione destinata a suscitare non poche discussioni.

Il caso è quello di un soggetto condannato in appello per il reato di molestia ex art. 660 c.p. per aver ripetutamente cercato di entrare in contatto tramite social network con i propri figli, con i genitori adottivi degli stessi ed i loro parenti, nonché per aver più volte pubblicato sul proprio profilo Facebook fotografie ritraenti i medesimi soggetti.

Avverso la sentenza di condanna viene proposto ricorso in Cassazione, la quale annulla la sentenza impugnata statuendo che il fatto non sussiste: secondo i Giudici della Suprema Corte, manca l’elemento oggettivo e quindi la condotta caratterizzante il reato di molestia previsto e punito dall’art. 660 c.p..

Ma vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.

L’art. 660 c.p. punisce chiunque in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo.

Quello su cui occorre focalizzare l’attenzione, per analizzare la pronuncia in esame, è proprio la locuzione “con il mezzo del telefono” intesa come “utilizzo delle linee telefoniche quali veicolo di comunicazione”.

Questa interpretazione ha consentito, con il passare degli anni, di ricondurre all’interno del reato di molestie, un serie di condotte attuate attraverso il proprio telefono o smartphone – quali ad esempio l’invio di SMS o di messaggi di posta elettronica – ben potendo anche queste condotte concretizzarsi in un’intrusione nella sfera privata altrui, con conseguente percezione negativa del destinatario, continuamente disturbato dagli avvisi di ricezione degli stessi e dalle notifiche che ne rammostrano “in anteprima” il contenuto.

Quello che rileva, dunque, al fine dell’integrazione del reato di molestia, è l’azione perturbatrice del messaggio data, fondamentalmente, dalle notifiche e dai sistemi di preview che costringono il mittente ad apprendere immediatamente e indipendentemente dalla sua volontà non solo della ricezione ma anche del contenuto di messaggi spesso indesiderati.

Ed è proprio su questi elementi che la sentenza citata si sofferma a riflettere.

Nel caso in esame, infatti, i Giudici evidenziano come “l’esistenza o meno di un messaggio di alert o preview dipende, in realtà, non dal soggetto che invia ma da quello che riceve, il quale può liberamente decidere se consentire all’applicazione di messaggistica di inviargli la notifica della ricezione del messaggio”.

Partendo da questa constatazione, si rileva come la possibilità per l’utente di disattivare le notifiche e gli avvisi renda la forma di comunicazione interessata – nel caso di specie, messaggi e post sui social network – meno invasiva di quella del telefono.

Secondo i Giudici, in particolare, l’istantaneità della comunicazione molesta e l’immediatezza della presa di conoscenza della stessa sono caratteristiche del mezzo utilizzato che il destinatario può evitare, ad esempio disattivando le notifiche dei social Instagram e Facebook.

Il punto di vista, dunque, si ribalta: il destinatario non è più visto come colui che si trova bersagliato di notifiche e messaggi indesiderati ma colui che può liberamente scegliere di non essere avvisato degli stessi e, conseguentemente, di non prenderne visione.

A fronte di ciò, non essendo identificabile un’intrusione immediata dei messaggi e dei post nella vita del destinatario, secondo la Cassazione, non si può parlare di molestia ai sensi dell’art. 660 c.p.

COSA NE PENSO IO?

Credo che la pronuncia in esame sia suscettibile di diversi spunti di riflessione, in primis relativamente al ruolo che si rischia di attribuire al destinatario dei messaggi indesiderati.

Evidenziando come l’immediatezza dell’intrusione nella sfera privata sia un elemento che può essere controllato dalla vittima del reato, si rischia infatti di perdere di vista la condotta materiale posta in essere dal soggetto agente, operando un giudizio di responsabilità che si basa non più sulla condotta di quest’ultimo quanto piuttosto sulla condotta della vittima, con la conseguenza che la configurabilità del reato viene ingiustamente fatta trascendere dalla sussistenza tanto dell’elemento oggettivo, quanto dell’elemento soggettivo della fattispecie.

Questa è una rubrica di informazione e divulgazione giuridica che ha il solo scopo di voler contribuire a livello sociale alla conoscenza dei propri diritti in quanto è mia convinzione che solo così è possibile tutelarli efficacemente dal punto di vista legale.

Se avete delle domande o volete propormi un argomento di cui parlare, potete farlo scrivendomi all’indirizzo e-mail dirittoetutela3.0@gmail.com o compilando il form che trovate sul sito www.studiolegalefois.com.

Avv. Fulvia Fois



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