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Non ha reagito e non ha mai detto di no, è violenza sessuale?

Care lettrici e cari lettori, questa settimana voglio parlare con voi di un argomento molto delicato ma davvero interessante, che è stato più volte oggetto di accesi dibattiti.

Il tema è quello della violenza sessuale e, più in particolare, della rilevanza e delle modalità di manifestazione del consenso da parte della vittima.

L’art. 609 bis c.p. relativo al reato di violenza sessuale punisce con la reclusione da 6 a 12 anni chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali, prevedendo la stessa pena anche per chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Per atti sessuali, si intende ogni condotta che manifesta all’esterno un istinto sessuale: un bacio, un tocco su parti del corpo intime, una vicinanza eccessiva.

Nonostante la definizione di ciò che costituisce e di ciò che non costituisce violenza sessuale sia ormai chiara, molteplici sono stati i profili critici della fattispecie di reato, come ad esempio le modalità di reazione della vittima e la necessità che la stessa manifesti o meno il proprio dissenso.

In questo senso, meritevoli di attenzione sono state alcune pronunce di assoluzione fondate proprio sulla mancata reazione della vittima.

In diverse occasioni, infatti, la giurisprudenza ha sostenuto che il protrarsi di un atto sessuale per alcune decine di secondi offrirebbe alla persona offesa un tempo sufficiente a manifestare la propria opposizione.

Ad esempio, in primo e secondo grado un uomo è stato assolto in quanto la durata della sua condotta, pari a 30 secondi, ben avrebbe permesso alla donna cui i suoi gesti erano indirizzati, di sottrarsi alle avances e financo di allontanarsi dall’uomo.

La decisione ha subito acceso l’opinione pubblica che si è divisa tra chi ha condiviso la tesi per cui la mancata reazione della vittima avrebbe determinato un implicito consenso all’atto sessuale e chi, invece, mettendosi nei panni della donna e valutato lo shock che la stessa può aver vissuto, ha contestato che il consenso deve essere necessariamente esplicito e non può certo essere desunto dal silenzio della vittima.

Sul punto è recentemente intervenuta anche la Corte di Cassazione che ha appoggiato proprio questa seconda presa di posizione.

I giudici, in particolare, hanno dato rilievo al fenomeno del cosiddetto “Freezing” per cui, di fronte ad un’aggressione repentina e non prevista, la vittima può ritrovarsi completamente paralizzata, impossibilitata a reagire manifestando il proprio dissenso o chiedendo aiuto.

Partendo da questo presupposto, la Corte conclude che non ha alcuna rilevanza il fatto che l’aggressore non abbia percepito un dissenso, essendo invece necessario, al fine di escludere il reato, che lo stesso abbia la certezza di un consenso pieno, iniziale e permanente da parte della vittima.

COSA NE PENSO IO?

Il fatto che al giorno d’oggi ci sia ancora la necessità di chiarire che il silenzio o l’inerzia non possono mai essere interpretati come consenso, è quantomeno preoccupante e sintomatico del pericolosissimo retaggio culturale del “consenso implicito” che, solo attraverso una costante opera di educazione e sensibilizzazione, anche dei più giovani, possiamo sperare di superare.

Il consenso deve essere sempre esplicito, libero e inequivocabile: solo così viene garantita la tutela necessaria alla dignità e all’autodeterminazione della persona.

                                                                                                                                                                                                                                      Avv. Fulvia Fois



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